Polizia arresta pusher, ma viene liberato perché “spacciare è la sua sola fonte di guadagno”: Decreto Sicurezza cambi il codice

salvini ministro desk x

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Il 27 giugno scorso, dopo il giudizio per direttissima, il 31enne Buba C., cittadino del Gambia irregolare in Italia, dopo essere stato sorpreso – per la seconda volta in quattro giorni – a vendere ecstasy in via dei Transiti, una delle zone più “calde” per lo spaccio – periferia nord di Milano – era stato portato a San Vittore in stato di custodia cautelare.

Dopo essere stato respinto dalla Svizzera come clandestino e fotosegnalato per la prima volta in Italia due anni fa a Como, C. ha precedenti penali non solo per spaccio: tra quest’anno e il 2017 – infatti – aveva già collezionato altre due denunce, rispettivamente per falsa attestazione sull’identità personale e per ricettazione.

 

spacciatori x 

Nonostante l’arresto in flagranza ed il processo per direttissima, a distanza di oltre due mesi – incomprensibilmente – il processo non è ancora finito, per cui la restrizione della libertà personale per lui non può essere disposta come pena da scontare, ma solo come misura cautelare per evitare che il giovane commetta di nuovo gli stessi reati.

Ecco quindi attivarsi un cortocircuito normativo che – insieme a valutazioni in questo caso quantomeno opinabili – fa sì che il lavoro delle Forze di polizia assomigli sempre di più alle fatiche del mitologico Sisifo, condannato per l’eternità da Zeus a far salire lungo una collina un masso che, arrivato in cima, rotola dall’altra parte e quindi il malcapitato deve ricominciare daccapo.

 

Sisifo

 

Nel provvedimento di scarcerazione si legge infatti che «I limiti di pena previsti dall’articolo 73, comma 5 della legge 309 del 1990 (che si riferisce a fatti lievi per qualità e quantità delle sostanzendr) non consentono la custodia cautelare in carcere»: ma perché, dopo oltre due mesi, oggi parliamo ancora di custodia cautelare e non di una sentenza e di una pena?

Come ricorderete già il 10 agosto scorso prendemmo posizione per chiedere la modifica del codice di procedura penale nella parte in cui consente l’accesso al rito giustamente definito “premiale” del cd. “patteggiamento” anche in caso di giudizio direttissimo a seguito di arresto in flagranza di reato: un premio che non serve ad abbreviare il processo e quindi genera un altro cortocircuito.

Ed inoltre, come si fa a definire lo spaccio delle cinque pasticche di ecstasy sequestrate un fatto lieve se a volte basta un’unica compressa a far rischiare la vita? È accaduto alla sedicenne britannica Leah Robinson, che è stata in coma: sua madre ha voluto diffondere sui social la foto che vedete – sua figlia in ospedale – aggiungendo Questo è ciò che fa l’ecstasy. Vi prego, non prendetela.

 

ecstasy

 

Secondo il Tribunale del riesame di Milano quel giovane farebbe lo spacciatore perché, non avendo «(…) alcun provento derivante da attività lavorativa, lo spaccio appare l’unico modo per mantenersi»: nei libri di diritto dove abbiamo studiato c’è scritto che per questo dovrebbe essere sottoposto a misura di sicurezza perché delinquente abituale, anzi professionale.

Invece oggi lo si libera limitandosi a prescrivergli di stare lontano dal territorio del comune di Milano: c’è qualcuno che scommetterebbe sul fatto che obbedirà all’ordine della Magistratura e che, comunque, nei comuni limitrofi al capoluogo lombardo o altrove, sempre in Italia, egli troverà un altro modo – che sarebbe sicuramente più faticoso e meno redditizio – per mantenersi?

Per noi con il Decreto sicurezza in preparazione il codice andrebbe cambiato anche sotto queso aspetto: i procedimenti per direttissima, nei casi – come questo – in cui non siano necessarie ulteriori indagini, devono concludersi subito con una condanna che, per i recidivi – soprattutto quelli infraquinquennali, reiterati e specifici, come è il sig. Buba C. – va immediatamente scontata.

Siamo sicuri che il Governo – a cominciare dal Ministro dell’interno Matteo Salvini – darà ascolto ai nostri appelli perché i fenomeni che abbiamo descritto alimentano un crescente e giustificato sentimento d’insicurezza nella comunità e generano comprensibile demotivazione nei lavoratori in divisa che vedono vanificare gli sforzi fatti – per pochi spiccioli – per combattere l’illegalità ed assicurare alla Giustizia i responsabili.

Roma, 30 agosto 2018