Luigi Calabresi, poliziotto «eroico difensore del bene comune» (Giovanni Paolo II), 47 anni fa cadde vittima di odio politico

luigi calabresi x

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Luigi Calabresi (Roma, 14 novembre 1937 – Milano, 17 maggio 1972): funzionario di pubblica sicurezza dal 1965, presso la Questura di Milano aveva l’incarico di vice capo dell’Ufficio politico.

Accusato dall’opinione pubblica di sinistra di responsabilità nella morte di Giuseppe Pinelli, fu ucciso in un attentato, i cui colpevoli vennero individuati solo dopo molti anni nelle persone di Ovidio Bompressi e Leonardo Marino quali esecutori, mentre Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri furono ritenuti i mandanti. Tutti erano esponenti di Lotta Continua. (leggi su Wikipedia)

La sue qualità cristiane furono immediatamente riconosciute da Papa Paolo VI, è stato riconosciuto dalla Chiesa cattolica martire per la giustizia e proclamato servo di Dio. Ha in corso un processo di beatificazione e Papa Giovanni Paolo II lo ha definito «testimone del Vangelo e eroico difensore del bene comune». Solo nel 2004 venne insignito della medaglia d’oro al merito civile alla memoria dal Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi, con le seguenti motivazioni: 

«Fatto oggetto di ignobile campagna denigratoria, mentre si recava sul posto di lavoro, veniva barbaramente trucidato con colpi d’arma da fuoco esplosigli contro in un vile e proditorio attentato. Mirabile esempio di elette virtù civiche ed alto senso del dovere.»

— Milano, 12 maggio 2004.

 

Pubblichiamo un articolo che dà l’idea della campagna di odio orchestrata per anni nei confronti del funzionario di pubblica sicurezza, accusato ingiustamente della morte dell’anarchico Pinelli – circostanza cui il processo dimostrerà egli non fosse neppure presente – il quale, ciononostante, non fruiva di scorta, né di alcuna forma di tutela per la sua incolumità personale. Di seguito la copertina che annuncia l’omicidio senza alcun accenno di condanna.

 

calabresi lotta continua

 

Molti anni più tardi Giovanni Minoli gli dedica questa puntata de La Storia siamo noi: Morte di un Commissario

 

Biografia

Di famiglia romana medio-borghese, padre commerciante in oli e vini, frequentò il liceo classico presso l’Istituto San Leone Magno e si laureò nel 1964 all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” in giurisprudenza con una tesi sulla mafia siciliana. Da giovane entrò nel movimento cristiano Oasi, fondato dal padre gesuita Virginio Rotondi. Alla carriera forense preferì quella nella polizia, spiegando agli amici che non «sente la vocazione del magistrato né dell’avvocato». L’anno seguente, nel 1965, vinse il concorso per vicecommissario di pubblica sicurezza e quindi frequentò il corso di formazione nell’Istituto superiore di polizia, allora all’EUR, per prendere poi servizio a Milano. Ha scritto saltuariamente per il quotidiano socialdemocratico Giustizia e nel 1968, con uno pseudonimo, sul quotidiano romano Momento Sera.

A Milano fu inserito nell’ufficio politico della Questura e incaricato di sorvegliare e indagare gli ambienti della sinistra extraparlamentare, che iniziava allora a prendere consistenza: tra questi, indagò in particolare i gruppi maoisti e quelli anarchici con cui instaura una buona dialettica. Gli ambienti anarchici erano sospettati, a seguito di comunicazioni del controspionaggio statunitense, di essere i fornitori di esplosivi usati in Grecia per una serie di attentati che avvenivano a quel tempo in quel Paese governato dalla dittatura dei colonnelli, sostenuta dagli Stati Uniti d’America. Si trattò dell’area politica entro cui svolgerà le sue indagini nel corso della sua breve carriera. Nel 1967 ottenne dalla Questura di Como, su richiesta degli anarchici, il permesso per un campeggio anarchico a Colico, e durante questi contatti conobbe Giuseppe Pinelli, a cui nel Natale 1968 regalerà, assieme al suo superiore Antonio Allegra, il libro Mille milioni di uomini di Enrico Emanuelli, il dono fu ricambiato l’agosto successivo con l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, il libro preferito di Pinelli, come raccontato dal figlio giornalista Mario Calabresi.

Nella notte del 16 novembre 1967 guidò le forze della polizia nello sgombero dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, occupata da poche ore dagli studenti guidati da Mario Capanna: questa occupazione fu il primo atto di lotta studentesca che iniziò la stagione della contestazione nota a Milano come Sessantotto.

Nel 1968 diventò commissario capo, trovandosi anche a dirigere le cariche dei reparti della polizia durante gli scontri per il mantenimento dell’ordine pubblico nel corso di manifestazioni di protesta per le vie milanesi: la sua carriera proseguirà fino alla carica di vice capo dell’Ufficio politico della Questura di Milano.

Il 25 aprile 1969 fu incaricato delle indagini relative agli attentati con bombe avvenuti nel padiglione della FIAT alla Fiera Campionaria e alla stazione Centrale: si trattava della prima indagine che lo espone alla stampa e alla conoscenza della pubblica opinione. Calabresi svolse le indagini entro l’area anarchica e quindici persone della sinistra extraparlamentare furono fermate e arrestate. Costoro saranno incarcerate per sette mesi, dopo i quali vengono scarcerate per «mancanza di indizi».

Il 21 novembre 1969, ai funerali dell’agente Antonio Annarumma dovette intervenire in difesa di Mario Capanna, sottraendolo ad un tentativo di pestaggio da parte di agenti incolleriti dalla presenza dell’esponente delle sinistra extraparlamentare alle esequie funebri.

 

Luigi Calabresi

 

Il caso Pinelli

Il 12 dicembre 1969 scoppiano cinque bombe di cui una posta nella filiale della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, a Milano, che provoca la morte di 17 persone e il ferimento di altre 88. Calabresi che aveva già in corso inchieste su attentati da bombe, viene incaricato delle indagini sul caso.

Proprio nelle indagini sulla bomba a piazza Fontana, Calabresi divenne noto all’opinione pubblica, in seguito al tragico evento accaduto nel corso delle prime indagini sulla strage: l’anarchico Giuseppe Pinelli, già noto a Calabresi per via di indagini precedenti nell’ambiente degli anarchici, convocato nelle prime ore seguenti all’attentato insieme ad altri 84 sospettati, tenuto illegalmente in stato di fermo da più di due giorni per essere interrogato riguardo al suo alibi, precipitò alle 23:57 del 15 dicembre dalla finestra dell’ufficio del commissario, al quarto piano, dell’edificio della Questura di Milano. La prima versione data dalla questura, per voce del questore Marcello Guida (già direttore del carcere per prigionieri politici di Ventotene durante il fascismo) durante una conferenza stampa, a cui parteciparono anche Calabresi e Antonino Allegra, responsabile dell’Ufficio politico della Questura, affermò che Pinelli si sarebbe suicidato in quanto implicato negli attentati e senza un alibi valido, versione poi ritrattata quando l’alibi di Pinelli, al contrario di quanto affermato, si rivelò veritiero.

Mentre gli inquirenti sostennero la tesi del suicidio, le formazioni extraparlamentari di sinistra e gli esponenti giornalistici di sinistra accusarono le forze dell’ordine di aver ucciso Pinelli gettandolo dalla finestra durante l’interrogatorio. A questa tesi, poi smentita da due istruttorie della magistratura, si aggiunse Calabresi come capro espiatorio: anche se le successive inchieste dimostrarono che non era presente nella stanza dell’interrogatorio al momento della caduta, divenne il bersaglio di una martellante campagna di denuncia, sia da parte di intellettuali di sinistra (tra gli altri, Elio Petri e Nelo Risi che girarono il lungometraggio militante Documenti su Giuseppe Pinelli, e Dario Fo, che s’ispirò alla vicenda di Pinelli per un’opera teatrale, Morte accidentale di un anarchico, in cui Calabresi era il «dottor Cavalcioni»), che da parte di gruppi più estremisti (con minacce quotidiane scritte su moltissimi muri d’Italia e della città di Milano).

Il giovane commissario fu accomunato al questore Guida nella Ballata di Pinelli:

«Calabresi e tu Guida, assassini
se un compagno avete ammazzato
questa lotta non avete fermato
la vendetta più dura sarà.»

 

omicidio calabresi

 

L’omicidio

Il 17 maggio 1972 alle ore 9:15 il commissario di polizia Luigi Calabresi fu assassinato a Milano in via Francesco Cherubini, angolo via Mario Pagano, di fronte al civico nº 6, vicino alla sua abitazione, mentre si avviava alla sua auto per andare in ufficio, da un commando composto da almeno due sicari che gli spararono alle spalle. Aveva 34 anni. Lasciò la moglie Gemma Capra, incinta, e due figli: Mario, che diventerà noto giornalista e scrittore, direttore de la Repubblica da gennaio 2016 a febbraio 2019, e che ha raccontato la storia della sua famiglia nel libro Spingendo la notte più in là, e Paolo. Il terzo figlio, Luigi, nascerà pochi mesi dopo la sua morte. Il commissario Luigi Calabresi, in quel periodo, partendo da sue indagini sulla morte di Giangiacomo Feltrinelli, dilaniato da una bomba che l’editore stava collocando su di un traliccio, stava investigando su di un traffico internazionale di esplosivi e di armi che sarebbe avvenuto attraverso il confine triestino e quello svizzero: in relazione a questo traffico illegale vennero collegati i nomi di alcuni estremisti di destra tra cui Gianni Nardi.

Luigi Calabresi è sepolto nel Cimitero Maggiore di Milano.

Il 17 maggio 1973, a un anno dall’assassinio, durante l’inaugurazione di un busto commemorativo in memoria del commissario nel cortile della Questura di via Fatebenefratelli di Milano, cerimonia cui partecipò l’allora Ministro dell’Interno Mariano Rumor, Gianfranco Bertoli, dichiaratosi anarchico (si scoprirà diversi anni dopo essere stato, tra il 1966 ed il 1971, informatore del SIFAR prima e agente infiltrato agli ordini del SID poi, con il nome in codice «Negro»), lanciò una bomba a mano tra i partecipanti alla commemorazione. L’esplosione uccise 4 persone e ne ferì 52, non colpì Rumor indicato come probabile obiettivo, già allontanatosi dal cortile. Gianfranco Bertoli, che era da poco tornato in Italia dopo un periodo trascorso in un kibbutz israeliano, rivendicò l’azione come vendetta per la morte di Pinelli urlando: «Morirete tutti come Calabresi e ora uccidetemi come Pinelli».

L’inchiesta conclusiva della magistratura sulla morte di Pinelli, fu poi condotta dal giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio: l’istruttoria terminò il 27 ottobre 1975 con una sentenza assolutoria per Calabresi, scagionando completamente la polizia, giungendo alla conclusione che la caduta avvenne «a causa di un malore attivo e dall’improvvisa alterazione del centro di equilibrio» e quindi classificando la morte come «accidentale», quindi né suicidio, né omicidio, accertando peraltro che il commissario Calabresi non si trovava neppure nella stanza al momento del fatto.

L’omicidio Calabresi fu il primo delitto eseguito con la stessa tecnica utilizzata negli anni successivi dalle Brigate Rosse e da altri gruppi di sinistra: nonostante ciò si indagò sugli ambienti di estrema destra, incriminando il neofascista Gianni Nardi, morto in un incidente d’auto in Spagna. La pista Nardi si rivelò falsa.

Nel 1988 Leonardo Marino, un ex militante di Lotta Continua, sì pentì e confessò di aver partecipato insieme ad Ovidio Bompressi all’assassinio del commissario, indicando i mandanti del delitto in Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, anch’essi in precedenza militanti e ai vertici di LC.

Leonardo Marino è stato condannato a 11 anni di reclusione (pena poi prescritta grazie alla attenuanti generiche), Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri a 22 anni.

 

processo omicidio calabresi

 

Il processo di beatificazione

Calabresi è stato proclamato servo di Dio dalla Chiesa cattolica, che lo considera martire per la giustizia e le cui qualità cristiane furono riconosciute da Papa Paolo VI. Giovanni Paolo II lo ha definito «testimone del Vangelo e eroico difensore del bene comune». È iniziato un processo di beatificazione ad opera del sacerdote Ennio Innocenti. La pratica ebbe il via libera di Camillo Ruini e passò all’esame del cardinale Dionigi Tettamanzi. La fede cristiana del commissario, che trova origine sin dalla partecipazione giovanile al movimento Oasi di padre Virginio Rotondi, gli fu di conforto nel periodo in cui era sotto accusa per la morte di Pinelli, tanto che il commissario ebbe a dichiarare a Giampaolo Pansa: «Da due anni sto sotto questa tempesta e lei non può immaginare cosa ho passato e cosa sto passando. Se non fossi cristiano, se non credessi in Dio non so come potrei resistere…». Analoga testimonianza di fede diede Luigi Calabresi all’amico Enzo Tortora, come il presentatore ricorda in uno scritto il giorno successivo alla morte del commissario.