No a una nuova Nassirya: la salute degli operatori in divisa deve essere tutelata secondo le regole e senza sconti

no nuova nassirya x

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Se si esimessero i Comandanti andrebbero esenti anche i Comandi e la Amministrazioni quindi, se la norma suggerita dalla IV Commissione del Senato fosse stata in vigore il 12 novembre 2003, chi aveva sottovalutato i numerosi e circostanziati allarmi trasmessi dai Servizi di intelligence nazionali non solo sarebbe stato assolto in sede penale per quella strage – come è comunque avvenuto – ma non avrebbe neppure dovuto risarcire vittime ed eredi in sede civile.

Per fortuna questa norma assurda non c’era e solo per questo motivo – nel settembre scorso, dopo ben sedici anni dai fatti – chi è stato ritenuto responsabile è stato condannato  dalla Corte di cassazione civile a risarcire gli eredi delle vittime: non possiamo consentire che le donne e gli uomini in divisa che dovessero contrarre l’infezione da Covid-19 per inosservanza della normativa vigente in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro non vengano tutelati e risarciti.

Salute pubblica e salute degli operatori addetti a compiti ad essa connessi sono legati in maniera indissolubile ed, infatti, non risulta che i responsabili di Asl ed Ospedali abbiano chiesto questo tipo di ombrello per non risarcire medici, infermieri ed operatori sanitari in genere qualora non abbiano assolto puntualmente tutti gli obblighi che la legge impone ad ogni datore di lavoro, senza eccezioni, per la tutela della salute del personale che è posto alle rispettive dipendenze.

Tutto ciò proprio mentre corre voce che i componenti di una pattuglia dell’Arma, che per ordini superiori non indossavano due delle pochissime mascherine in dotazione, potrebbero essere stati denunciati all’autorità giudiziaria da un automobilista che, fermato per un controllo, intimando ai militari di mantenere la distanza interpersonale, li ha accusati di essere incoscienti ad operare senza dispositivi di protezione individuale e di contribuire così a diffondere il contagio.

Se le tesi di quel cittadino venissero accolte dai Giudici, chi ne risponderebbe in sede risarcitoria?

Di seguito il testo della lettera appena inviata da questa Federazione al Ministro dell’interno, al Capo della Polizia ed ai responsabili di tutti i gruppi parlamentari di Camera e Senato in vista del prosieguo dell’esame del progetto di legge di conversione del provvedimento definito CuraItalia (decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18), rispetto al quale la IV Commissione “Difesa” del Senato si è espressa il 26 marzo a favore di una norma che cancellerebbe responsabilità e risarcimenti.

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Al Signor Ministro dell’Interno
Pref. Luciana Lamorgese
ROMA

Al Signor Capo della Polizia
Direttore Generale della P.S.
Pref. Franco Gabrielli
ROMA

Ai Gruppi Parlamentari
Senato della Repubblica e
Camera dei Deputati
ROMA

Oggetto: Conversione in legge del d.l. 17/3/2020, nr. 18
No allo “scudo penale” per i datori di lavoro del “Comparto Sicurezza e Difesa”.

 

Illustre Ministro, Pregiatissimo Capo della Polizia, Onorevoli componenti delle Commissioni parlamentari, è fuor di dubbio che l’unicità e drammaticità della situazione che il nostro Paese sta vivendo giustifica, seppur solo in parte, i continui aggiustamenti normativi e le procedure di contenimento del Covid-19, caricando sulle spalle dei datori di lavoro, pubblici e privati, il compito assai delicato e complesso di provvedere alla gestione del personale, alla riorganizzazione e riprogrammazione dell’attività, tenendo sempre presente l’obiettivo primario di garantire la tutela della salute dei dipendenti.

Al riguardo non ci sembra fuori luogo richiamare quanto previsto dall’art. 2087 c.c. in base al quale «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».

Tale previsione, avente carattere generale, trova poi specifica declinazione in norme primarie e, segnatamente, nel D.Lgs. 81/2008.

Ben consapevoli della delicatezza e complessità della situazione, però, non possiamo esimerci dal segnalare la nostra più ferma contrarietà in ordine alla decisione della IV Commissione Difesa del Senato la quale – nell’ambito dei lavori per la conversione in legge del d.l. 17 marzo 2020, nr. 18 – ha approvato un emendamento che, in buona sostanza, concede l’immunità in sede civile e penale al datore di lavoro, dirigente e preposto appartenenti alle amministrazioni del c.d. “Comparto Sicurezza e Difesa”, per la durata dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19.

Si vorrebbe, pertanto, escludere la responsabilità di tali figure dell’organizzazione prevenzionistica, espressamente prevista dal d. Lgs. 81/08 e dal codice civile, a meno che non venga riconosciuta a loro carico la colpa grave o il dolo.

Al di là di ogni pur lecita ed opportuna considerazione in ordine alla tenuta costituzionale di una previsione di legge che escluda la responsabilità di tali figure SOLO nell’ambito delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 19 della legge 4.11.2010, nr. 183, ciò che colpisce e indigna di più è il dover prendere atto che mentre gli operatori di polizia sono chiamati ad esporsi come mai prima d’ora, i generali e i vertici ministeriali si attrezzano non per fornir loro i necessari DPI ma per non essere chiamati a rispondere in caso di lesioni o decessi da Covid19 di cui fosse vittima “uno di noi”.

In altre parole si profila il rischio che, in assenza di comportamenti abnormi da parte del lavoratore – al momento unica esimente che può essere invocata dal datore di lavoro in caso di lesioni o decesso del lavoratore – gli orfani, le vedove o i nostri colleghi eventualmente colpiti da Covid19 non potrebbero far valere le loro ragioni nelle competenti sedi giurisdizionali.

Tale prospettiva è per noi del tutto inaccettabile.

Il d.lgs. 81/08 e le pertinenti norme del codice civile sono un baluardo di civiltà che non può e non deve essere messo in discussione, soprattutto quando ai lavoratori viene imposto di assicurare la prestazione in condizioni sanitarie così drammaticamente gravi e con DPI inadeguati.

E ciò è ancor più vero se si considerano gli scenari evocati dagli organi di sicurezza interna che preannunciano, in maniera credibile, la possibilità di una “deriva sociale” dovuta ai bisogni materiali di una gran massa di famiglie senza più reddito e/o strumenti di sostegno.

E a tal proposito, chi fronteggerà la possibile rabbia e la disperazione di questa gente se è quando dovesse concretizzarsi “l’assalto ai forni”?

Vi sono quindi ragioni più che sufficienti, in punto di fatto e di diritto, perché il maldestro tentativo di assecondare la richiesta di immunità avanzata dalle gerarchie militari, venga immediatamente stoppata.

E se proprio immunità dovrà essere, che si faccia tesoro, a tempo debito e ad emergenza superata, dei principi e delle opportunità indicate dall’art. 2 del codice penale in materia di successione delle leggi penali.

Ma nessuno pensi di ottenere, solo per se stesso, una così estesa ed immotivata immunità a discapito dell’anello debole della catena, cioè i lavoratori.

Quegli stessi lavoratori che, pur non essendo stati ancora provvisti dei necessari ed idonei DPI, non possono certo omettere un atto del loro ufficio laddove questo dovesse imporre anche un diretto contatto fisico con soggetti positivi al Covid-19 e magari asintomatici.

Confidiamo, pertanto, che l’emendamento approvato dalla Commissione Difesa del Senato venga cassato “senza se e senza ma”.

Roma, 28 marzo 2020