Poliziotti, diritti negati anche quando si va in pensione: appello al Ministro dell’interno per un intervento del Parlamento

scatti

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Al  Signor Ministro dell’interno
Prefetto Luciana Lamorgese
R o m a

Al Signor Capo della Polizia – Direttore generale della ps
Prefetto Franco Gabrielli
R o m a

Oggetto: sentenza Consiglio di Stato n. 1231/2019 a favore dell’ex Prefetto di Bari.
– Richiesta assunzione iniziativa legislativa per estenderne gli effetti al personale della Polizia di Stato che è stato collocato, a domanda, in pensione d’anzianità.

Come noto è pacificamente prevista, per il personale delle Forze di polizia che cessa dal servizio per età, per permanente inabilità al servizio o per decesso, l’aggiunta di sei scatti, del 2,5 per cento ciascuno, ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell’indennità di buonuscita mentre, al personale che accede a domanda alla pensione prima del raggiungimento dei limiti ordinamentali, applicando alla lettera la legge, l’Inps riconosce il beneficio solo se la presentazione di detta domanda di pensione avviene entro il 30 giugno dell’anno in cui vengono raggiunti i 55 anni d’età ed i 35 anni di servizio utile (art. 6-bis, DL 387/1987).

Con la sentenza in oggetto il CdS ha però riconosciuto il beneficio in argomento anche ad un appartenente alla Carriera prefettizia – in quanto a tal fine equiparato al personale delle Forze di polizia (art. 3-bis, DL cit.) – che a domanda era stato collocato in pensione d’anzianità senza aver presentato detta domanda nell’anno in cui egli aveva raggiunto i requisiti d’età e contributivi previsti perché, argomenta l’alto consesso – ai fini della sussistenza del diritto – ciò a cui bisogna guardare è lo «status soggettivo (anagrafico e previdenziale) dell’interessato, piuttosto che agli oneri procedimentali da osservare per l’acquisizione del beneficio de quo».

Sulla base di questo innovativo pronunciamento del massimo Giudice amministrativo si sta ovviamente sviluppando un imponente contenzioso, dall’esito scontato, connesso ad un diritto soggettivo sostanziale che è stato a lungo ingiustamente negato sulla base del mancato rispetto di termini che però –  come affermato dal Consiglio di Stato – non hanno alcun effetto decadenziale: per sanare detta ingiustizia evitando che i servitori dello Stato interessati, per avere Giustizia, debbano affrontare le ingenti spese e le lunghe attese connesse ai ricorsi, sarebbe per noi opportuno che il Governo promuovesse un’interpretazione autentica della norma de quo.

In attesa di un cortese cenno di riscontro inviamo i più cordiali saluti.

Roma, 15 giugno 2020